PRODUZIONE E LAVORAZIONE DELLE MATERIE PLASTICHE NELLE AZIENDE FARMACEUTICHE
Nonostante numerosi tentativi di intervento da parte di aziende e governi di tutto il mondo per provare ad arginare il problema, la plastica risulta ancora il materiale più impattante in ogni fase del suo ciclo di vita, scatenando quella che ormai è una vera e propria “emergenza fuori controllo”. Il settore delle aziende farmaceutiche risulta tra i più impattanti a livello di uso di plastica ed è responsabile di oltre il 4,4% delle emissioni globali, dato destinato a triplicarsi entro il 2050. Ma come “redimersi” e provare a innescare un cambio di rotta ormai imprescindibile?
L’ impatto ambientale della plastica
A partire dalla sua immissione nel mercato intorno agli anni Cinquanta del Novecento, la produzione e lavorazione di materie plastiche ha subito un vertiginoso incremento: soltanto tra il 2000 e il 2015 è stato prodotto il 56% di tutta la plastica mai fabbricata dall’uomo nella storia, raggiungendo circa 370 milioni di tonnellate nel 2019, valore che è destinato a raddoppiare entro il 2030-2035 e a triplicarsi entro il 2050. Se da una parte l’uso della plastica ha portato con sé una rivoluzione senza precedenti, implicando meno costi rispetto ad altri materiali ed essendo incredibilmente duttile e versatile, dall’altra risulta essere estremamente dannoso per l’ambiente e per la salute dell’uomo.
La plastica è la principale responsabile del cambiamento climatico: genera inquinamento e determina emissioni di gas serra in ogni fase del suo ciclo di vita, a partire dalla sua estrazione (essendo derivata dalla trasformazione di combustibili fossili, gas e petrolio), passando poi per le fasi di produzione, raffinazione, uso e smaltimento finale. Quella che ormai si può considerare una produzione fuori controllo genera un altrettanto incontrollabile inquinamento in tutte le sue sfaccettature, contaminando il suolo, l’aria, i mari, la biodiversità e la salute umana, addirittura il cibo che consumiamo ogni giorno, attraverso il rilascio di microparticelle provenienti dalla plastica abbandonata e non smaltita correttamente. Queste microplastiche sono state trovate in ogni luogo sul Pianeta, dalle calotte polari alle foreste pluviali.
Lo sapevi che ogni settimana ingeriamo l’equivalente di una carta di credito attraverso gli alimenti?
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L’organizzazione no-profit 5 Gyres Institute ha pubblicato uno studio raccogliendo dati dal 1979 al 2019: dal 2005 l’inquinamento da plastica nei mari e negli oceani ha subito un’accelerazione vertiginosa. Ogni anno mediamente 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono nei mari, e questo dato è destinato ad aumentare di circa 2,6 volte entro il 2040. Solo nel 2019 galleggiavano una media di 171.000 miliardi di particelle di plastica; queste poi vengono ingerite dagli organismi marini, impattando negativamente su tutta la catena alimentare, fino ad arrivare all’uomo.
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Perché auspicare un impegno diplomatico internazionale
Ad oggi manca ancora un quadro normativo che possa determinare un’azione davvero efficace a livello politico-legislativo nei confronti di un’emergenza che ormai ha una portata sovranazionale. È sempre più urgente che la cooperazione internazionale e il dialogo tra i paesi portino alla realizzazione di trattati globali, al fine di fissare degli obiettivi comuni facilmente raggiungibili a breve termine.
Dopo gli accordi di Parigi sul clima del 2015, un primo importante sforzo diplomatico si è avuto con l’Assemblea Generale dell’ONU conclusasi a marzo 2022, con l’approvazione di una risoluzione dal titolo quanto mai eloquente “End plastic pollution: towards an international legally binding instrument”, che avvia i lavori che dovrebbero condurre, entro il 2024, ad un trattato globale che mira a ridurre la produzione e il consumo di plastica, o quanto meno auspicarne un consumo responsabile. Lo scorso mese si è svolta a Parigi la seconda riunione del Comitato Intergovernativo di negoziazione (INC) che ha ribadito la necessità di affrontare il problema dell’impatto della plastica considerando un full lifecycle approach e provando ad allineare le posizioni dei vari governi, stabilendo obiettivi, campi di applicazione e misure preventive da adottare per il bene comune.
Packaging e imballaggi monouso i principali responsabili
Secondo la Fondazione Minderoo, solo nel 2021 sono state prodotte 139 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica monouso, producendo emissioni di gas serra dirette e indirette per un totale di oltre 460 milioni di tonnellate di CO2eq. Le confezioni monouso (che corrispondono a circa il 40% di tutta la plastica prodotta) vengono buttate subito dopo l’uso o comunque entro un anno. Purtroppo, però, occorrono centinaia di anni prima che riescano a biodegradarsi. Secondo le stime dell’OCSE, i rifiuti plastici globali sono destinati a triplicarsi entro il 2060 e circa il 60% di questi può essere ricondotto agli imballaggi, il 98% circa dei quali è composto dalla plastica monouso derivata da combustibili fossili. L’apporto maggiore è dato dalle bottiglie (25 milioni di tonnellate) e sacchetti e contenitori per alimenti (circa 15-16 milioni di tonnellate).
Nel 2019 l’UE ha diramato una prima direttiva europea, la SUP o Single Use Plastic, volta a ridurre notevolmente l’impatto ambientale degli imballaggi e la dipendenza dell’Europa dai combustibili fossili, preservando così mari e oceani. Tale azione è stata recepita dall’Italia con il D.lgs. 196/2021, entrato in vigore nel gennaio 2022, volto a prevenire e ridurre l’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente e sulla salute umana. Un nuovo regolamento prodotto dalla Commissione Europea nel novembre 2022 riguarda gli imballaggi in plastica in tutti i settori industriali: essi dovranno contenere quantità minime di contenuto riciclato, ma potrebbero esserci deroghe limitate nel tempo per medicinali e dispositivi medici, come ad esempio riguardo ad imballaggi che devono rispettare “requisiti specifici per preservare la qualità del medicinale”.
Produzione e lavorazione delle materie plastiche nel settore chimico-farmaceutico
Da sempre nel pharma si consuma molta plastica: vi è necessità che gli strumenti siano sterili e rispondano a certi standard legati alla sicurezza per la salute umana e animale, motivo per cui beneficiano delle deroghe di cui abbiamo parlato sopra, che saranno in vigore fino al 2035. Nel 2020 l’impatto ambientale delle aziende farmaceutiche a livello mondiale superava del 55% le emissioni dell’industria automobilistica. I settori delle industrie chimiche e delle aziende farmaceutiche rientrano tra quelli che fanno più uso di plastica, in particolare monouso: quella degli imballaggi sono una delle principali fonti inquinanti nel pharma.
A seguito dell’emergenza sanitaria globale e dell’aumento della domanda, negli ultimi due anni il packaging legato all’industria farmaceutica ha registrato un aumento esponenziale, anche a livello di fatturato, per un giro di affari di circa 100 miliardi di dollari, che si stima possa superare i 155 miliardi di dollari entro il 2028. Parlando di quantità, su 36 milioni di tonnellate di plastica usate nel mondo ogni anno in tutti i vari settori produttivi, per gli imballaggi nel settore farmaceutico sono destinati circa 100.000 tonnellate, comprendendo blister, fiale, flaconi, siringhe pre-riempite e simili, che permettono ai prodotti di mantenere l’integrità preservandoli da agenti come umidità, aria e sostanze chimiche.
Si prevede un aumento di circa il 6% fino al 2028 per quanto riguarda il mercato degli imballaggi nel settore farmaceutico, ma se esso sarà basato su processi industriali ormai standardizzati ma non più sostenibili, ciò non farà altro che aggravare ulteriormente la situazione legata all’inquinamento, al cambiamento climatico e allo sfruttamento indiscriminato delle materie prime. Occorre perciò cominciare a pensare in ottica di economia circolare anche per quanto riguarda la produzione e lavorazione delle materie plastiche in questi settori e in quello degli imballaggi.
Limitare l’impatto e riciclare nella produzione e lavorazione delle materie plastiche: è possibile?
Parlare di riciclo nel settore farmaceutico è più complesso che in altri settori, considerando che oltre ad un packaging esterno (scatole), ne esiste anche uno interno o primario, cioè quello che viene a diretto contatto con il prodotto (tubetti e flaconi). Per il primo caso, riciclare è semplice in quanto necessita di un’efficiente raccolta differenziata e relativo smistamento in appositi impianti; nel caso del packaging primario, una contaminazione con residui di prodotto può determinare delle conseguenze inaspettate a livello chimico, tali da compromettere l’intero processo di riciclo, oltre ad essere dannoso per la salute e l’ambiente.
Nuovi regolamenti dell’Unione Europea sugli imballaggi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite hanno portato ad una nuova sensibilità su questo tema e l’Unione Europea ha fissato l’obiettivo di riciclo degli imballaggi di plastica del 50% entro il 2025. Secondo una statistica, l’88% delle aziende farmaceutiche prevede di ridurre i rifiuti prodotti nei prossimi tre o cinque anni, mentre il 55% è già impegnato nell’eliminazione dell’uso della plastica in ogni fase del processo produttivo.
Ma è davvero possibile?
La compagnia finlandese Huhtamaki, leader nella ricerca e innovazione per un packaging sostenibile, in collaborazione con la Syntegon Technology GmbH, ha proposto un innovativo blister in carta, in sostituzione di quello tradizionale fatto in plastica e alluminio, pur mantenendo inalterati gli elevati e necessari standard di sicurezza degli imballaggi farmaceutici, grazie alla tecnologia Burgopack, un astuccio compatto con uno slider interno che permette di estrarre sia il blister da un lato che il bugiardino illustrativo dall’altro, tirando delle linguette verso l’esterno.
L’unica strada da percorrere per limitare l’impatto della plastica corre su un doppio binario: diminuire l’utilizzo di plastica nei processi produttivi da un lato, e promuovere il reinserimento della plastica nell’economia circolare dall’altro. Sui marketplace circolari la plastica è già il materiale più venduto in termini di sottoprodotto.
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Ma quali sono i benefici dell’economia circolare?
- promozione di un consumo responsabile e sostenibile dal punto di vista economico ed etico;
- miglioramento di una brand reputation rispetto a consumatori e altri stakeholder coinvolti;
- abbattimento dei costi di smaltimento;
- riduzione della produzione di plastica;
- minore inquinamento.
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BEAWaRe aiuta le aziende a reintrodurre scarti industriali derivati dalla produzione e lavorazione delle materie plastiche nell’economia circolare sotto forma di sottoprodotti o donazioni, ottimizzando tempi e costi di smaltimento e contribuendo alla riduzione della produzione di nuova plastica. Grazie all’analisi dei dati, identifichiamo inefficienze operative e possiamo fornirti delle strategie per la riduzione della produzione dei rifiuti, analizzando la qualità e la quantità dei rifiuti prodotti da destinare alla circolarità.
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13/07/2023