RIFIUTI TESSILI: IL LATO OSCURO DEL FAST FASHION
Il settore tessile, interessato negli ultimi anni da una crescita senza precedenti in termini produttivi, è tuttavia responsabile di un significativo impatto ambientale: sfruttamento delle materie prime, produzione di materiali molto spesso scadenti e dannosi per l’uomo e l’ambiente ed emissioni inquinanti tra le più alte al mondo sono le principali criticità del settore. L’Europa interviene proponendo modifiche alla direttiva quadro dei rifiuti, con il proposito di disciplinare la gestione dei rifiuti tessili, incentivarne la responsabilità estesa del produttore in ottica di riciclo e sensibilizzare i consumatori ad acquistare in modo più consapevole.
Scopriamo tutto nel dettaglio!
Rifiuti tessili: statistiche e impatto di un settore in continua espansione
Nel contesto di una società in continua evoluzione e sempre più consumistica, il settore tessile ha raggiunto vette di produzione mai viste prima. Secondo un recente rapporto del Parlamento europeo, la produzione mondiale di capi di abbigliamento è quasi raddoppiata tra il 2000 e il 2015, arrivando oggi a quota 17 milioni di tonnellate di vestiti. Anche il consumo di calzature è destinato ad aumentare, di circa il 63% entro il 2030, raggiungendo le 102 milioni di paia prodotte. Questa vertiginosa espansione trova il suo principale protagonista nel cosiddetto fast fashion, l’industria dell’abbigliamento che fa della rapidità e del basso costo il suo vero e proprio marchio di fabbrica e che oggi interessa moltissimi noti brand di moda che intercettano e analizzano su tutte le varie piattaforme, soprattutto social, i gusti dei consumatori, ritrovandosi a “sfornare” fino a 52 mini-collezioni all’anno. Tuttavia, per rispondere in modo rapido alla domanda dei consumatori, sia in termini di quantità che di assortimento, ed essere sempre più competitivi, sono disposti a sacrificare sempre di più la qualità del prodotto, senza tenere minimamente in considerazione la possibilità di allungarne il ciclo di vita, né tantomeno riflettere circa l’impatto sull’ambiente dei rifiuti tessili.
Dietro i costi spesso irrisori dei capi si nasconde il vero “lato oscuro” del settore tessile, svelato da recenti inchieste che hanno voluto accendere i riflettori sul quarto settore più inquinante a livello globale:
- alto consumo di acqua: 79 miliardi di m3 consumati solo nel 2015. Per fabbricare una sola maglietta di cotone occorrono 700 litri di acqua dolce, pari al fabbisogno di acqua di una persona in 2 anni e mezzo;
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- materie prime di bassa qualità e materiali sintetici: nelle fasi di lavaggio, 000 tonnellate all’anno di microplastiche finiscono negli oceani, minando l’intera catena alimentare e rappresentando un serio pericolo per la salute dell’uomo e la sopravvivenza degli ecosistemi;
- emissioni inquinanti: secondo l'Agenzia Europea dell'Ambiente, gli acquisti di prodotti tessili nell'UE nel 2020 hanno generato circa 270 kg di emissioni di CO2 per persona, circa 121 milioni di tonnellate di gas serra; il 18% circa delle emissioni globali di anidride carbonica è da imputare alla produzione tessile; non a caso, brand associati al fast fashion utilizzano come vetrine gli e-commerce, che causano un forte impatto dovuto all’aumento dei trasporti su strada;
- aumento dei volumi conferiti in discarica: ogni secondo al mondo un camion pieno di tessuti viene bruciato o buttato in discarica, pratiche che coinvolgono oggi circa l’87% dei capi dismessi (dopo essere stati utilizzati, in media, meno di dieci volte) e che determinano il rilascio di pericolose microfibre di plastica nell’atmosfera. Si stima che soltanto l’1% degli abiti venga riciclato correttamente;
- violazione dei diritti del lavoro e sfruttamento dei lavoratori: a pagare il prezzo più alto di questa follia sono i lavoratori: concentrati soprattutto nei distretti suburbani in Bangladesh e in Cina, gli operai ricevono 4 centesimi a capo lavorando per 18 ore al giorno in condizioni disumane in fabbriche anguste e prive di condizioni anche minime di sicurezza.
Invertire la rotta: le misure intraprese dalla UE
Il 5 luglio 2023 la Commissione europea ha presentato una proposta di modifica della direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/Ce incentrata in particolare sui rifiuti tessili e i rifiuti alimentari (della necessità impellente di un decreto che metta ordine al settore se ne è parlato anche ad Ecomondo). L’obiettivo è giungere a nuove misure per promuovere da un lato forme di progettazione ecocompatibile, monitorare le prestazioni ambientali dei rifiuti tessili e accelerare la circolarità di quelli che possono ancora avere una seconda vita, ma soprattutto introdurre regimi obbligatori riguardo la responsabilità estesa del produttore (EPR) e rivedere il regolamento circa l’etichettatura dei prodotti. In questo modo i costi di gestione dei rifiuti tessili saranno a carico dei produttori, responsabili dell’intero ciclo di vita dei propri prodotti, soprattutto del fine vita e si potranno finanziare progetti che promuovono la raccolta differenziata dei tessuti (che sarà comunque obbligatoria in tutti gli Stati membri dell’UE a partire dal 2025), la cernita, il riutilizzo e il riciclo. I sistemi EPR del settore tessile saranno istituiti entro 30 mesi dall’entrata in vigore definitiva delle nuove regole europee.
Il Piano d’azione europeo ha come primario obiettivo quello di rendere più sostenibile uno dei settori più inquinanti al mondo, dopo quello alimentare, dell’edilizia e dei trasporti, e di garantire una più efficiente tracciabilità dei rifiuti tessili. È auspicabile renderne più semplice sia la gestione che la separazione tra ciò che può essere selezionato per il riutilizzo e ciò che non può avere una seconda vita e che deve essere inviato direttamente al riciclo, sezione della catena del valore ancora in via di definizione, al contrario del segmento del riuso, da tempo largamente presente nelle economie europee. I sistemi EPR, inoltre, avranno il generale beneficio di incentivare i produttori ad abbracciare un approccio circolare fin dalla produzione dei materiali, combattere traffici ed export illeciti (come sta avvenendo nel settore dei RAEE) e garantire che i rifiuti tessili siano gestiti nel pieno rispetto delle norme ambientali e in conformità con le leggi vigenti.
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I benefici dell’economia circolare: come rendere sostenibile il settore tessile?
Secondo il WWF, solo in Europa vengono gettati via “5 milioni di tonnellate di indumenti all’anno, 12 kg a persona finiscono negli inceneritori e nelle discariche, e si stima che venga riciclato soltanto l’1% di quanto prodotto “. Il settore tessile, come abbiamo già detto, è fortemente energivoro e grava enormemente sull’ambiente: per produrre capi di abbigliamento, calzature e i tessili per la casa, in Europa vengono utilizzate circa 175 milioni di tonnellate di materie prime primarie, pari a 391 kg a testa, e ogni anno vengono sfruttati grandi estensioni di terreno, circa 180.000 km2, di cui la quasi totalità è concentrata in Cina e in India.
Come ridurre quindi l’impatto dei rifiuti tessili?
L’adozione di modelli di economia circolare rappresenta un imperativo a cui nessuno può più sottrarsi, data l’insostenibilità di un settore che, finora, ha inseguito solo le logiche del profitto, senza pensare allo spreco di risorse e all’impatto sull’ambiente e sulla salute dell’uomo. In fase di progettazione, è necessario, per prima cosa, puntare sulla resistenza e la longevità dei materiali, investendo sullo sviluppo di quelli ecosostenibili e naturali, come ad esempio derivati da scarti e rifiuti organici della produzione alimentare, da cui ottenere biomassa e materiali biodegradabili e a basso impatto ambientale. Curare maggiormente la qualità dei materiali utilizzati significa per le aziende abbracciare una rivoluzione circolare che può tradursi in un miglioramento della reputazione aziendale e una fidelizzazione dei consumatori, oggi sempre più sensibili alle tematiche ambientali, (secondo una statistica di Cotton Works, in Italia solo il 32% dei consumatori ritiene “molto importante” il concetto di sostenibilità in fase di acquisto di capi di abbigliamento), e quindi rappresentare anche un notevole vantaggio competitivo.
In questo contesto, anche gli investimenti sostenibili giocano un ruolo fondamentale nel sostenere le aziende, sempre più interessate a quantificare l'impatto delle proprie attività attraverso la rendicontazione non finanziaria, il bilancio di sostenibilità e la certificazione delle performance ESG. Le aziende possono, inoltre, farsi promotrici di campagne di sensibilizzazione che esortino il pubblico ad acquistare in modo più responsabile, evitando gli sprechi e preferendo prodotti eco-friendly che considerino importanti valori come il rispetto dell’ambiente, l’utilizzo consapevole delle materie prime e il riciclo e l’impegno nella tutela dei diritti dei lavoratori e nella gestione trasparente e responsabile dei rifiuti, soprattutto quelli pericolosi.
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21/12/2023